Patologie dermatologiche e tatuaggi: la percezione e la consapevolezza del tatuatore

Patologie dermatologiche e tatuaggi: la percezione e la consapevolezza del tatuatore

Mauro Mazzeo, Laura Diluvio

Clinica Dermatologica, Università degli Studi di Roma Tor Vergata

La visita dermatologica di aree cutanee ricoperte di tatuaggi può essere difficoltosa: una lesione melanocitaria benigna coperta, in parte o totalmente, da pigmento esogeno può acquisire elementi suggestivi di melanoma, mentre una lesione maligna può perdere quelle caratteristiche che ci consentirebbero la diagnosi. Il ruolo del tatuatore, in questo contesto, acquisisce un ruolo di rilievo rappresentando, spesso, un collegamento indispensabile tra paziente e specialista in dermatologia. Affinché questo possa avvenire è, tuttavia, necessario che questa figura professionale possieda un minimo livello di conoscenza delle lesioni cutanee, per poter esortare, laddove necessario, i clienti a recarsi dal dermatologo

Recentemente Westley S. e coll.. hanno effettuato uno studio utilizzando un questionario creato ad hoc per la gestione di clienti affetti da lesioni dermatologiche. Questo è stato proposto ad una popolazione di 42 tatuatori professionisti con un’esperienza lavorativa media di 8 anni. Il primo quesito ha riguardato il comportamento dei professionisti nei confronti dilesioni eritematose, lesioni non meglio precisate, o macchie cutanee: il 45.2% riferisce di tatuare soggetti presentanti queste problematiche,il 54.8% del campione ha riferito, al contrario, di rifiutarel’esecuzione del tattoo in soggetti affetti da queste condizioni patologiche. Tra le motivazioni addotte da quest’ultimo gruppo: il 50% a causa del verosimile risultato non soddisfacente, il 28.6% nel dubbio che si potesse trattare di un tumore cutaneo, il 19% per paura che la lesione o l’area potesse sanguinare durante l’esecuzione del tattoo, il 7.1% per il rischio di trattare una patologia potenzialmente contagiosa, il 7.1% ha dichiarato di aver temuto che l’inchiostro non potesse legarsi adeguatamente alla cute, la restante parte di intervistati per altre ragioni.Un altro quesito ha approfondito l’approccio dei tatuatori nei confronti di unnevo o di un’altra lesione cutanea: il 40.5% della popolazione esaminata riferisce di tatuare la cute intorno la lesione senza coinvolgere la stessa, il 23.8% si affida alla scelta del cliente, il 19% tatua la lesione, il 7.1% si rifiuta solo se la lesione è rilevata.Dallo studio è emerso come i clienti chiedano di non tatuare le lesioni pigmentate nel 28.6% e come il tatuatore davanti ad una lesione sospetta, consigli la visita dermatologica nel 28.6% dei casi.

Lo studio ha dimostrato come l’approccio dei tatuatori alle lesioni cutanee pigmentate, e non, non sia standardizzato.I professionisti che avevano ricevuto una visita dermatologica negli anni precedenti risultavano più sensibilizzati alle problematiche dermatologiche. Una maggiore consapevolezza dei tatuatori inerente la problematica dei tumori cutanei, ed in particolar modo del melanoma potrebbe portare ad una gestione migliore dei clienti. Appena 9 intervistati (21.4%) della popolazione presa in esame possiede conoscenza e consapevolezza rispetto ai rischi legati al melanoma e appena il 14.3% quelli relativi agli altri tumori non melanocitari. Lo studio evidenzia, dunque, l’opportunità e l’esigenza per il dermatologo di educare questi operatori nei confronti delle patologie dermatologiche. La sensibilizzazione di questi professionisti creerebbe un’arma in più nell’individuazione di pazienti affetti da lesioni tumorali.

BIBLIOGRAFIA

  • Westley S. Mori. Tattoo Artists’ Approach to Melanocytic Nevi. JAMA Dermatology April 2017 Volume 153, Number 4
  • Anthony, E. P., Godbolt, A., Tang, F. and McMeniman, E. K. (2015), Malignant melanoma disguised in a tattoo. Australasian Journal of Dermatology, 56: 232–233. doi:10.1111/ajd.12219.
  • Paradisi A, Capizzi R, De Simone C, Fossati B, Proietti I, Amerio P. Malignant melanoma in a tattoo: case report and review of the literature. Melanoma Research. 2006;16(4):375-376.
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