La cheratosi attinica ed il campo di cancerizzazione: lo stato dell’arte

La cheratosi attinica ed il campo di cancerizzazione: lo stato dell’arte

Ludovico Rao, Elena Campione, Luca Bianchi
UOSD Dermatologia, Policlinico di Roma Tor Vergata

La cheratosi attinica (AK) è la lesione precancerosa più comune osservabile sulla cute danneggiata dall’esposizione cronica ai raggi ultravioletti (UV).

La sua incidenza è pari al 10 % nei soggetti con fototipo chiaro e con età inferiore ai 30 anni, mentre supera l’80 % dopo i 60 anni. I principali fattori di rischio sono rappresentati dal fototipo chiaro, l’età avanzata, la non corretta fotoesposizione e l’immunosoppressione.

Dal punto di vista clinico, le AKs si presentano come macule eritemato-squamose, il cui colore può variare dal giallo-brunastro al biancastro. Alla palpazione si apprezza una piccola area di cute di consistenza rugosa, che rappresenta l’elemento diagnostico più caratteristico almeno nelle fasi iniziali. Alla dermoscopia la diagnosi si basa sulla ricerca di pattern specifici, che sono anche utilizzati per classificare le AKs in base alla evoluzione clinica, secondo un grading progressivo.

Le AKs si localizzano prevalentemente sulle zone di cute foto esposte: viso, cuoio capelluto nei soggetti calvi, padiglioni auricolari, dorso delle mani e decolleté. Possono presentarsi come lesioni isolate, più spesso nel giovane, o multiple, in particolar modo nei soggetti che hanno più di 60 anni, che manifestano anche i segni di un fotodanneggiamento esteso alle aree di cute perilesionali e che rappresentano il cosiddetto  “campo di cancerizzazione”.

Le AKs possono regredire spontaneamente, restare immutate o progredire verso un carcinoma squamocellulare. Dal momento che il rischio individuale di degenerazione è imprevedibile, in pratica clinica è opportuno trattare tutte le AKs. Il trattamento del cosiddetto campo di cancerizzazione dipende invece dalla presenza o meno di alcuni fattori di rischio/progressione quali il numero di lesioni, la presenza di un fotodanneggiamento cutaneo severo e/o di immunodepressione e la storia anamnestica positiva per altri tumori cutanei non melanocitari (NMSC). La terapia delle AKs può essere distinta in una terapia preventiva, volta a ridurne il rischio di comparsa, e in una curativa, volta invece a trattare le AKs già presenti ed eventualmente il campo di cancerizzazione circostante. Per quanto riguarda gli approcci terapeutici utilizzati, le più recenti linee guida americane, supportano fortemente la crioterapia, in particolar modo per le lesioni singole, e la terapia topica con 5-Fluorouracile (5-FU) o con imiquimod. Più contrastanti, in termini costo/beneficio, sono invece i dati in merito al diclofenac topico e alla terapia fotodinamica (PDT). II valore di clearance rate con la crioterapia è variabile nei vari studi riportati e si attesta tra il 57 e il 98,8%; il fastidio/dolore durante la procedura e la discromia post trattamento rappresentano i principali effetti collaterali, ma possono essere ridotti al minimo mediante tempi di congelamento più brevi. Il trattamento con 5-FU crema allo 0,5% in monoterapia o con l’aggiunta di acido salicilico al 10% ha dimostrato un tasso di efficacia pari a circa il 75%; il principale effetto collaterale, nonché la più frequente causa di interruzione, è stata l’irritazione locale. L’imiquimod crema in formulazione al 3,75% o al 5% garantisce ottimi risultati, dando come principali effetti collaterali l’irritazione cutanea, lesioni eritemato-crostose e talora sintomi simil-influenzali. Un medical device già in uso in pratica clinica è il piroxicam allo 0,8% in crema in combinazione ai filtri solari,  favorisce una regressione completa delle cheratosi attiniche di grado I e II con evidenti benefici anche sul campo di cancerizzazione, come già documentato in numerosi studi clinici, in pazienti trapiantati ed in quelli che assumono farmaci fotosensibilizzanti come gli antiipertensivanti. Strategie terapeutiche emergenti sono rappresentate dall’unguento topico di tirbanibulina, un inibitore della formazione del fuso mitotico. La Tirbanibulina interrompe i microtubuli, tramite il legame diretto con la tubulina, inducendo l’arresto del ciclo cellulare e la morte per apoptosi delle cellule proliferanti ed è associata all’interruzione della segnalazione della tirosina chinasi Src. I pazienti arruolati nello studio registrativo, presentavano da 4 a 8  cheratosi attiniche, non ipercheratosiche, non ipertrofiche, entro un’area di trattamento contigua di 25 cm2 sul viso o cuoio capelluto. In ogni giorno di somministrazione programmato, l’unguento è stato applicato all’intera area di trattamento. Nel gruppo di tirbanibulina, l’età media era di 69 anni (fascia d’età compresa tra i 46 e i 90 anni) e il 96% dei pazienti presentava una cute di tipo I, II o III, secondo la classificazione di Fitzpatrick. L’efficacia, misurata come tasso di eliminazione completa (endpoint primario) e parziale, è stata valutata il giorno 57. Al giorno 57, i pazienti trattati con tirbanibulina presentavano tassi di clearance completa e parziale significativamente più elevati rispetto ai pazienti trattati con veicolo (p <0,0001). L’efficacia è stata minore nelle lesioni del cuoio capelluto rispetto alle lesioni del viso, sebbene ancora statisticamente significativa.

La terapia preventiva delle AKs, invece, si basa sull’utilizzo della fotoprotezione solare e                                della nicotinammide per os (un derivato della vitamina B3), indicato  nei pazienti con anamnesi positiva per 2 o più NMSC. Il meccanismo d’azione della nicotinammide è l’attivazione, attraverso PARP1, degli enzimi di riparazione del DNA. È stato, infatti, ampiamente dimostrato come la mutazione del gene oncosoppressore p53 giochi un ruolo chiave nella patogenesi delle AKs e nella loro progressione in carcinoma squamocellulare.

In conclusione, possiamo affermare che i trattamenti ad oggi disponibili per le AKs sono molteplici, e che pertanto la scelta della terapia va personalizzata in base al numero, sede e gravità delle lesioni, nonché in base alle eventuali comorbidità presentate dal paziente.

Referenze

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